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Dal latino all'italiano

Dettagli tecnici

1 gennaio 2024

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Roberto Tartaglione

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Il lento passaggio dal latino all'italiano (probabilmente non ancora terminato) riguarda molti aspetti della lingua. Cominciamo dalle vocali.


VOCALISMO In latino le vocali erano 5, ma ognuna di loro poteva avere una pronuncia lunga ( ¯ ) o breve ( ˘ ): quindi in realtà erano 10. Progressivamente la differenza fra lunga e breve si perde e in italiano la i breve e la e lunga si trasformano in e chiusa, mentre la e breve diventa e aperta. Allo stesso modo la u breve e la o lunga si trasformano in o chiusa, mentre la o breve diventa o aperta. In italiano abbiamo perciò un sistema con 7 vocali.



Ma quello che ora chiamiamo "italiano" era solo una delle mille varietà di lingue parlate in Italia. Solo per fare un esempio, il cambiamento delle vocali, in Sicilia e in Sardegna è piuttosto diverso. In Sicilia si arriva infatti a un sistema di solo 5 vocali, con e ed o escusivamente aperte e una forte presenza di vocali i ed u che da sole "assorbono" ben 6 vocali latine.


(sistema vocalico siciliano)


Anche in Sardegna e in alcune aree del Sud Italia si arriva ad un sistema di sole 5 vocali, ma per una strada diversa da quella siciliana. Le 5 vocali della Sardegna inoltre cancellano la differenza fra aperte e chiuse.

(sistema vocalico sardo)


Quindi, per esempio: latino: dolorem; italiano: dolore; siciliano duluri; sardo dolore latino: patrem; italiano: padre; siciliano: patri; sardo: (babbu) latino: lignum/ligna; italiano: legno; siciliano: lignu; sardo: linna


Naturalmente le questioni di vocalismo non finiscono qui: i dittonghi latini ae, oe e au si monottongano e si trasformano perciò in una singola vocale:

praemium diventa premio

praesto diventa presto

poenam diventa pena

foeminam diventa femmina

aurum diventa oro

caudam diventa coda

Nello stesso tempo le vocali e aperta e o aperta, se si trovano in una sillaba che finisce con vocale, dittongano. E perciò

decem latino diventa dieci

pedem diventa piede

bonus diventa buono

focum diventa fuoco.

CONSONANTISMO

Lasciamo da parte ora altre questioni che riguardano le vocali e passiamo alle consonanti.

Le consonanti finali -m, -t e -s perdono gran parte della loro forza e tendono a sparire nelle parlate italiche (ma in spagnolo resiste la -s che diventa il marcatore dei plurali). Quasi tutte le parole italiane invece finiscono con vocale: lupum > lupo, rosam > rosa; vincit > vince, iuvenes > giovani.

Quando invece in latino c'era un nesso di due consonanti in italiano si è spesso arrivati a una singola consonante ma doppia:



Per esempio

latino factum; italiano: fatto latino scriptum; italiano: scritto

latino: saxum; italiano: sasso latino: ipsum; italiano: esso latino: somnium; italiano: sonno latino: frig(i)dum; italiano: freddo

Naturalmente anche per quel che riguarda i nessi consonantici ci sono tante altre cose da osservare: basta pensare che per esempio il nesso nd che pure resta in italiano uguale al latino, in molte variietà di lingua dell'Italia centrale e meridionale diventa nn (quando > quanno; mondo > monno ecc.). Il nesso ns invece si riduce a s (mensem > mese).

Un ualtro elemanto tipico del consonantismo riguarda invece la trasformazione del nesso consonante + L in consonante + i (semivocale).


Per esempio latino: clavem; italiano: chiave (ma francese: clé) latino: florem; italiano: fiore (ma rumeno: floare) latino: glandem; italiano: ghianda (ma francese: gland) latino plateam ; italiano: piazza (ma spagnolo: plaza)


(da notare che molte varianti dialettali italiane si discostano dall'italiano proprio come altre lingue neolatine: piazza si dice ciassa in genovese, fiore si dice flò in torinese, e chiave in Sardegna, a seconda dell'area, si può dire ciae, crae, crai o ciabi).

Non ci dilunghiamo ancora sul consonantismo, ma segnaliamo almeno ancora un fatto importante: i suoni che in italiano sono rappresentati dalle lettere C e G in latino classico avevano solo la pronuncia "dura" (quella di casa e di gatto). Progressivamente assumono anche il suono "dolce" davanti a vocale e ed i (cioè la pronuncia di cena e gelo). Per questo, a seconda della tradizione scolastica nazionale, gli studenti di latino pronunciano il nome CICERO in due modi diversi: in Italia lo chiamiamo CICERORE, in Germania lo chiamano KIKERO.


DOPPIA DERIVAZIONE

Da notare che molte parole italiane possono avere una doppia derivazione latina, una "popolare" e una "colta". Per esempio l'aggettivo di fiore (parola "popolare") è floreale (parola "colta"); l'aggettivo di piazza (parola "popolare") è plateale (parola "colta"); e se chiave è parola di derivazione "popolare", conclave è naturalmente di derivazione "colta".


GRAMMATICA


I cambiamenti fonetici caratteristici del passaggio dal latino all'italiano determinano anche grossi cambiamenti di tipo grammaticale. In particolare la perdita delle consonanti finali significa perdere il sistema dei casi (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo, ablativo). Per esempio il sostantivo lupo in latino si declinava così:



Insomma, in latino, lupus era il soggetto di una frase, lupi significava del lupo, lupo significava al lupo o anche a causa del lupo, lupum era l'oggetto diretto del verbo, lupe era una invocazione (oh lupo!); e con terminazioni diverse si potevano dire le stesse cose al plurale. In italiano abbiamo solo due forme: lupo singolare e lupi plurale. La perdita dei casi che cosa provoca nella comunicazione fra persone?

Prima di tutto un aumento nell'uso delle preposizioni per determinare il ruolo della parola all'interno della frase. Poi una nuova costruzione della frase: in latino lupus occidit agnum (il lupo uccide l'agnello) poteva essere formulato con costruzioni diverse senza mai rischiare la confusione. Ognuna delle frasi che seguono comunica lo stesso messaggio senza possibilità di equivoci:

lupus occidit agnum lupus agnum occidit occidit agnum lupus agnum occidit lupus

In italiano, ovviamente, non funziona più così: il lupo uccide l'agnello è cosa ben diversa da l'agnello uccide il lupo. E eventualmente il lupo l'agnello uccide è terribilmente ambigua. Proprio per questo rischio di toccare la precisione del messaggio aumenta la frequenza di tutti gli elementi che "chiarificano" le frasi: grande aumento nell'uso dei dimostrativi, dei pronomi, e "invenzione" degli articoli che in latino non esistevano e che in italiano derivano proprio dal dimostrativo ille (quello).

A questo bisogna aggiungere un certo sconvolgimento nei tempi verbali. Il sistema latino era piuttosto complicato e nel passaggio alle lingue volgari hanno gran fortuna le forme verbali composte con un ausiliare, molto più facili da realizzare: le forme "sintetiche" latine vanno in crisi. In particolare il futuro si usa come "composto" del verbo avere invece che con le forme sintetiche del latino classico:


Stesso discorso riguarda il passivo. In latino esisteva come forma "sintetica" in italiano è forma composta con un ausiliare (essere o venire)



Si sviluppa poi il passato prossimo affianca il "perfetto" latino (che corrisponde al nostro passato remoto); e nasce il condizionale che in latino non c'era.


LESSICO


Il lessico cambia nelle varie aree dell'ex impero romano in base a diverse interferenze locali, regionali e sociali: i nomi di oggetti di uso quotidiano e i prodotti alimentari possono svilupparsi in modo o in un altro a seconda della situazione locale e da questo nascono i geosinonimi, cioè parole italiane diverse che indicano la stessa cosa, tutte assolutamente corrette ma che caratterizzano le parlate regionali (cocomero a sud, anguria a nord, papà in gran parte dell'Italia e babbo in alcune regioni, gruccia in toscana e stampella a sud). Ma poi ci sono tante parole che entrano nella lingua per il contatto con popoli vicini o invasori: germanismi portati dai "barbari invasori", lessico amoroso importato attraverso la poesia francese e provenzale, parole scientifiche derivate dal contatto col mondo arabo e così via.

In particolare però vale la pena sottolineare che nella lingua popolare prevalgono le parole più espressive, quelle maggiormente marcate dal punto di vista comunicativo. Se nella lingua scritta e formale (cioè il latino) le parole di un testo tendono a essere "sobrie", nel parlato hanno più successo gli alterati:


latino: auris - diminutivo: oricla - italiano orecchia

latino: genu - diminutivo ginocolum - italiano. ginocchio

latino: unguis - diminutivo: ungula - italiano: unghia

latino: avis - diminutivo: avicula/ avicellus - italiano: uccello



CONCLUSIONI


I cosiddetti "dialetti" italiani sono tutte varietà linguistiche derivate dal latino al pari di altre lingue neolatine come francese o rumeno. L'italiano "standard" non è altro che una di queste varietà linguistiche che per motivi storici e letterari è stata convenzionalmente accettata come varietà comune per la comunicazione nazionale. Per questo parlare di "dialetti" è forse improprio. E certamente è improprio parlare di "dialetto sardo" o di "dialetto veneto" perché in realtà soltanto in Sardegna abbiamo almeno quattro varietà linguistiche diverse fra loro. E lo stesso succede in Veneto e in altre regioni italiane.

Naturalmente le varietà linguistiche italiane, anche se numerosissime, hanno caratteristiche comuni all'interno di determinate aree, quindi si può certamente parlare di dialetti del nord, del centro e del sud, purché sia chiaro che parliamo solo di "tratti comuni" e non di un'unica lingua.

I dialetti italiani hanno tutti una grande tradizione letteraria, teatrale, cinematografica e canora. Dalla canzone napoletana, alla Commedia dell'Arte, ai film neorealisti, è quasi impossibile rappresentare la realtà italiana senza tener conto di questa fondamentale caratteristica linguistica.


Carlo Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine, I ed. 1949. Riccardo Patron editore, Bologna
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