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Cinecittà, la Hollywood sul Tevere

La storia degli stabilimenti cinematografici

13 aprile 2003

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G. Grassi - R. Tartaglione

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(aggiornato settebre 2023)


Martin Scorsese ci ha girato il suo film Gangs of New York, nel 2001. Mel Gibson ha concluso lì le riprese del suo The Passion, un film sulle ultime ore della vita di Cristo. Fra il 2005 e il 2007 ecco la grande serie tv Rome. E ancora nel 2016 il remake di Ben Hur e nel 2019 Pinocchio.




Stiamo parlando di Cinecittà, la città del cinema a Roma, inaugurata il 28 aprile 1937 e da allora sinonimo di cinema italiano. Sul manifesto pubblicitario degli stabilimenti cinematografici si poteva leggere:

IL PIÙ GRANDE, IL PIÙ MODERNO, IL PIÙ ATTREZZATO STABILIMENTO CINEMATOGRAFICO D'EUROPA. 16 TEATRI DI POSA ~ 600.000 mq SUPERF. 3 PISCINE ESTERNE ~ 1 PISCINA COPERTA POTENZIALE ELETTRICO 24.000 Amp.

E in effetti era una struttura enorme: c'erano 73 edifici (e fra questi 16 teatri di posa), 40.000 mq di strade e piazze, 35.000 mq di giardini; c'erano tutte le strutture tecniche per produrre e realizzare un film dal primo ciak fino alla stampa della prima copia. Un impegno colossale per il regime mussoliniano, che intendeva fare del cinema uno strumento di sostegno artistico all'ideologia fascista (la stessa cosa succedeva nella Germania hitleriana): alla inaugurazione era presente lo stesso Mussolini. 

Nel corso della suai vita, Cinecittà ha visto la gloria e la decadenza: in particolare gli stabilimenti hanno attraversato lunghi anni di crisi dal 1965 e fino al 1982, quando la gestione del complesso è stata completamente rinnovata. Il periodo d'oro invece c'è stato dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e fino al 1965. In quegli anni Cinecittà è diventata Hollywood sul Tevere: nei teatri di posa e lungo i viali era possibile incontrare i registi e i divi stranieri più celebri dell'epoca, venuti a Roma a girare i loro film. Aveva cominciato Mervyn le Roy con il suo Quo Vadis?  

(1950). Ma la svolta c'era stata nel 1958, quando William Wyler aveva realizzato un colossal senza precedenti, Ben Hur, con Charlton Heston. È impossibile elencare le grandi produzioni straniere di quegli anni, tra le quali ci limitiamo a citare Cleopatra (1961, J. Mankiewicz), interpretato da Elizabeth Taylor e Richard Burton, Guerra e pace (1956, K. Vidor), Il tormento e l'estasi (1964, C. Reed). Ma gli italiani non erano da meno: del 1959 è La dolce vita, uno dei capolavori di Federico Fellini. Un nuovo periodo di sviluppo si è aperto aperto negli ultimi decenni: non solo sono riprese a pieno ritmo le produzioni italiane, ma sono "tornati" anche gli stranieri: Scorsese e Gibson sono due fra gli ultimi esempi.

 A Cinecittà lavorano professionisti eccellenti, indispensabili per creare scenografie con ricostruzioni convincenti. Ma non meno famose sono le comparse (o figuranti), cioè gli attori non professionisti impiegati soprattutto nelle grandi scene di massa. Vicino a quelle occasionali, ci sono comparse che fanno questo mestiere da generazioni. Ci sono intere famiglie di figuranti, come la famiglia Capitani, che ha lavorato nelle produzioni di Scorsese (19.000 comparse) e Gibson: il più attivo è Remo Capitani, che ha cominciato facendo il messicano cattivo nei film"western all'italiana" degli anni Settanta (come Trinità) e nel film di Gibson interpreta un sacerdote del Sinedrio.

 Oltre alle famiglie, ci sono interi paesi di comparse, come ad esempio Bellegra. Tutto era iniziato con Pippo Spoletini, uomo di fiducia di Federico Fellini, che aveva cominciato a portare a Cinecittà i suoi fratelli e poi i suoi compaesani per le scene di massa nei grandi colossal. Gli abitanti di Bellegra hanno indossato prima i panni degli immigrati per le strade della New York di Scorsese e poi gli abiti degli abitanti della Giudea ricostruita per Gibson.

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