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Barbaro sarai tu!

I narbarismi

24 novembre 2002

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Roberto Tartaglione

No

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(aggiornato dicembre 2023)



Qualcuno (non mi ricordo più chi, e mi dispiace perché è proprio una persona simpatica) ha detto che l'italiano non "prende in prestito" le parole dalle altre lingue, ma le "ruba". È verissimo.

Cosa c'è di inglese nella parola hard-discount pronunciata dall'anziana casalinga dialettofona? E cosa c'è di inglese in alterazioni di film come filmino, filmetto, filmone, filmaccio, filmettino, filmato, filmucolo, filmare?

Per non parlare degli esperti in computer: avete mai sentito uno scambio di battute tipo: - Mi zippi questo file? - Ma è crackato questo programma?

E lo stesso destino lo seguono parole straniere che non sono neanche importate in italiano. In Iran per esempio le strade sono spesso affiancate da due fossati che servono per lo scarico delle acque. Questi fossati si chiamano jub (pronunciato giub). E parecchie volte ho sentito italiani lamentarsi perché per distrazione, guidando la macchina di sera, si erano ingiubbati. Per non parlare poi delle donne italiane che, pure se cristiane, a Teheran dovevano andarsene in giro tutte inchadorate (con il chador).

Ma meno male che le parole girano, si spostano, cambiano e si rinnovano: pensate un po' se quando uno sta male di stomaco dovesse "mangiare in albo" invece che mangiare in bianco! Sicuramente soffrirebbe molto di più per l'astinenza da salsicce! E d'altra parte se il colore dei comunisti fosse stato il "fulvo" la Rivoluzione d'Ottobre avrebbe avuto certamente risultati tutti diversi. Eh sì, questi colori (bianco e rosso) li abbiamo presi in prestito (rubati!) dai barbari, ma funzionano piuttosto bene, no?


La entrada de los Hunos en Roma del pittore spagnolo Ulpiano Checa, 1887. Wikipedia, pubblico dominio

D'altra parte, anche se un purista avrebbe forse qualcosa da ridire, io sono molto più contento di abitare in una casa (domus in latino) invece che in un duomo dove gli spifferi mi farebbero certamente venire i reumatismi. Invece sono assai contento che il Presidente della Repubblica viva nel Palazzo del Quirinale e non abbia accettato di vivere in una "stamberga" (germanico Steinberg, casa di pietra delle persone ricche, che in italiano però suona un po' bruttino).

Allo stesso modo, quando qualcuno dice che non bisogna usare una parola inglese se ce n'è un'altra italiana equivalente, io sono d'accordo, anzi d'accordissimo: purché la parola italiana sia davvero equivalente. E non venitemi a raccontare che baby-sitter in italiano si dice "bambinaia"! La bambinaia è grassa, cucina bene, parla un dialetto centro-meridionale e ha già almeno un paio di figli suoi. La baby-sitter invece è bionda, porta la minigonna, al massimo ha 23 anni, viene dalla Scandinavia, cucina malissimo e probabilmente è single.

Insomma, se si usano le parole straniere perché si vuole essere snob e dimostrare agli interlocutori una "superiorità culturale"; se si usano perole inglesi per non farsi capire e confondere le idee (cosa che fa spessissimo la pubblica amministrazione o il Governo); se il numero di parole straniere è così eccessivo da lasciare un po' perplessi proprio per la consistenza numerica... allora il fatto è fastidioso (e in questo caso la parola che sia latina o inglese non fa differenza). Ma se usiamo backup, browser, drive, file, link, mouse, provider, software e joystick, così come gli stranieri usano allegro, andante, piano, presto, pizza, spaghetti e affresco, non ne farei un grosso dramma.


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