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Matteo Ricci e il cristianesimo in Cina

Il progetto di diffusione del cristianesimo in Cina: una grande occasione perduta.

28 febbraio 2010

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Giulia Grassi

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Inculturazione. È la parola-chiave che spiega il grande progetto di Matteo Ricci e anche il suo fallimento. Il padre gesuita viene inviato in Cina (dove entra nel 1583) per diffondere il messaggio cristiano. Non è il primo tentativo di evangelizzazione dell'immenso paese. Comunità cristiane vi si erano sviluppate fin dal VII secolo, grazie all'arrivo di fedeli in fuga dagli odierni Iraq e Iran; ma di esse si sa poco, come si ignora quando si sono estinte.

Nel XIII secolo i Francescani avevano fondato comunità cristiane a Pechino, che però si erano estinte nel giro di un centinaio di anni. Il cristianesimo, insomma, non riusciva a mettere radici.

Matteo Ricci ha cercato un'altra strada. Ha capito che far accettare il cristianesimo non significava imporre anche il "costume europeo", che gli interessi di Cristo non dovevano necessariamente coincidere con quelli della politica e dell'economia europei e che occorreva trovare una mediazione tra i valori cristiani e quelli cinesi, in particolare confuciani (di cui considerava compatibili, in particolare, l'aspirazione ad una società buona e l'invito a coltivare le virtù).

Per questo ha imparato perfettamente il cinese mandarino, in questo aiutato da una memoria prodigiosa; ha studiato con profondità la cultura locale, ha preso un nome cinese (Li Ma Dou - 利瑪竇) e ha cominciato a vestirsi con lunghe tuniche, come un saggio confuciano. Farsi cinese con i cinesi (ma anche 'indiano' in India e 'nipponico' in Giappone): questo raccomandava Li Ma Dou ai suoi confratelli.

Per non far apparire il cristianesimo un credo alieno e imposto da stranieri occorreva privilegiare, pensava il saggio gesuita, i punti in comune tra le due civiltà, e usare concetti e categorie cinesi adattabili al cristianesimo. Ecco l'inculturazione.


Perchino, La Città Proibita (dinastia Ming)

La cultura è stato il grimaldello per entrare in Cina: scienza, tecnica e filosofia considerate come terreno comune tra Oriente e Occidente, e quindi come elementi di condivisione e reciproca comprensione. Matteo Ricci ha introdotto nella Cina dei Ming la conoscenza di Cicerone e di Lucrezio, della matematica e della geometria dell'Occidente (traducendo, ad esempio, i primi sei libri degli Elementi di Euclide) e, anche, delle nuove acquisizioni in campo geografico, astronomico e cartografico dell'Occidente rinascimentale (ad esempio, tracciando il grande Mappamondo Cinese, 1ª edizione del 1584).

Ma ha anche fatto conoscere la civiltà cinese in Occidente (traduce in latino i Quattro libri confuciani), tanto da essere considerato il fondatore della moderna 'Sinologia' e da essere ancora oggi citato tra i 100 intellettuali più importanti della Cina.

Un progetto lungimirante, il suo. Che richiedeva, come tutti i progetti di ampio respiro, tempi di attuazione lunghi (quando Li Ma Dou muore, l'11 maggio 1610, c'erano 'solo' 3000 convertiti, che sarebbero diventati 200.000 il secolo successivo).

Non tutti, però, avevano la sua pazienza. Non tutti, soprattutto, digerivano la visione 'multiculturale' del gesuita, la sua flessibilità intellettuale, la programmatica indipendenza dal potere politico ed economico. Per farla breve, sia i tradizionalisti della curia romana sia i mercanti occidentali e le autorità portoghesi lo vedevano come il fumo negli occhi. Dopo la sua morte la sua strategia viene contestata e abbandonata. I pontefici condannano più volte i riti cinesi (ad esempio Clemente XI con la Ex illa die nel 1715, e Benedetto XIV con la bolla Ex quo singolari nel 1742), di fatto sconfessando l'opera di Matteo Ricci. Ma nel frattempo l'imperatore Chunxi aveva espulso i missionari dalla Cina (1724), chiudendo le porte di quel mondo non solo alla Chiesa, ma all'Occidente in generale.


Sereno dopo una nevicata su un passo di montagna, T'ang Yin (1470-1523)

Un atteggiamento di cui si pagano ancora le conseguenze. E che aiuta a capire come mai Matteo Ricci sia più conosciuto in Cina che in Europa (Italia compresa), al punto che

"Per vedere riconosciuta la gloria del gesuita dobbiamo andare nel Millennium Museum di Pechino dentro il monumento celebrativo di uno Stato socialista e ateo. Mirabile esempio di eterogenesi dei fini. O di ironia di Dio, come preferisco dire" (Antonio Paolucci, in L'Osservatore Romano, 2 agosto 2009).

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