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La tempesta di Giorgione: interpretazioni

Alcune tra le mille fantasiose interpretazioni

21 gennaio 2006

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Giulia Grassi

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La Tempesta di Giorgione è una delle opere più controverse della pittura occidentale.

Il patrizio veneziano Marcantonio Michiel cita nel suo "Notizie d'opere del disegno" un quadro visto nel Palazzo Vendramin di Venezia nel 1530: "el paesetto in tela cun la tempesta, cum la cingana [zingara] et soldato ... de man de Zorzi de Castefranco".

Tutti i critici identificano il quadro descritto con questo di Giorgione. Almeno fino al XVIII secolo fa parte della collezione Vendramin.

Nel 1875 diventa proprietà dei principi Giovannelli che, nel 1932, lo vendono allo Stato Italiano. Attualmente si trova nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia.




Generazioni di studiosi hanno versato fiumi di inchiostro nel tentativo di comprendere cosa rappresenti "veramente" il quadro.

Che relazione lega le persone dipinte in quel bellissimo paesaggio? La città fortificata è reale o immaginaria? E perché sta per scatenarsi un temporale? Si tratta di un racconto (mitologico, biblico...), di una allegoria o, addirittura, di una pura fantasia dell'artista?

Non è la prima volta che un dipinto è oggetto di interpretazioni diverse (basti ricordare La Primavera di Botticelli, ma anche La Flagellazione di Urbino di Piero della Francesca e L'Amor Sacro e l'Amor profano di Tiziano), ma sulla Tempesta le posizioni dei critici sono addirittura inconciliabili. E ogni studioso nel proporre la "sua" interpretazione demolisce quelle che lo hanno preceduto... venendo a sua volta demolito dal critico successivo.

Quello che segue è un breve elenco, non completo, delle varie ipotesi.

Fino alla metà del XIX secolo la scena era interpretata, forse un po' ingenuamente, come un ritratto dell'artista con la sua famiglia, e il dipinto era intitolato La famiglia di Giorgione.

Poi, si è pensato a una rappresentazione derivata dalla mitologia antica: o dalla Tebaide di Stazio (Adrasto scopre in un bosco Hypsipyle che sta allattando Ofelte, figlio di Licurgo) o dalle Metamorfosi di Ovidio (Deucalione e Pirra, i progenitori dell'umanità, sopravvissuti al diluvio universale).

Qualcuno l'ha considerato un collage di "personificazioni" astratte: la Fortezza (il soldato) e la Carità (la donna) in perenne lotta contro l'imprevedibilità della Fortuna (il fulmine che squarcia le nubi).

Qualche altro ci ha visto una complicata interpretazione esoterica del biblico racconto del "Ritrovamento di Mosè" sulle rive del Nilo. E ugualmente complicata è l'interpretazione di chi mette la scena in rapporto con un romanzo allegorico rinascimentale di Francesco Colonna (Hypnerotomachia Poliphili), carico di richiami all'ermetismo egittizzante: la donna è Iside e Venere insieme, "madre di tutte le cose", origine e fine di tutto.

C'è chi scommette che si tratta di Adamo ed Eva dopo la cacciata dall'Eden: Adamo si riposa dalle sue fatiche, Eva allatta il piccolo Caino, partorito con dolore, la città sullo sfondo è l'Eden perduto, il fulmine simboleggia l'ira divina. E chi sostiene che la Tempesta è la "coperta" del ritratto del capitano veneziano Erasmo da Narni detto il Gattamelata e rappresenta proprio lui vicino a Treviso, la città di cui doveva ricostruire le mura.

E non possiamo tacere che nel 1998 un libro di J. Manuel de Prada, intitolato appunto La Tempesta, ha proposto una nuova, sia pur romanzata, lettura del quadro.


Non c'è che dire, in confronto Dan Brown è un pivello!

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