L'effetto-eco
Sei furbo, sei!
1 dicembre 2024
da c1 a c2
Roberto Tartaglione
No
da CHI TI CAPISCE A TE? Questioni di italiano parlato nell’insegnamento dell’italiano
di Roberto Tartaglione, già pubblicato in "AggiornaMenti 16", ADI Associazione Docenti di Italiano in Germania, 2019
ABSTRACT
Nell’insegnamento dell’italiano a stranieri, da ormai parecchi decenni, si presta particolare attenzione al “parlato”: tuttavia, a parte qualche concessione di tipo lessicale, un po’ per antica tradizione grammaticale un po’ per l’impennata neopuristica degli ultimi anni, si tende alla fin fine a normalizzare la lingua insegnata solo all’interno di stilemi consolidati nello scritto. E addirittura tutte le formule marcate, diverse cioè dalla ben più tranquillizzante costruzione soggetto/verbo/oggetto, vengono spesso eluse, a volte per incertezze sulla loro correttezza formale a volte per una concreta difficoltà a spiegarne il significato: significato che spessissimo dipende dall’intonazione con cui la frase viene pronunciata. Fra queste modalità espressive, alcune sono state oggetto di studi linguistici approfonditi (le dislocazioni, le frasi scisse, gli usi dell’accusativo preposizionale), altre (come il costrutto-eco) meritano forse maggiori approfondimenti.
COSTRUTTI ECO
Una costruzione marcata tipica del parlato è costituita dal cosiddetto effetto-eco, una particolare forma della figura retorica dell’epanalessi, studiato in dettaglio da Dovicchi (2010).
Valgano come esempi del costrutto eco frasi del tipo sei bravo sei!, vanno a casa vanno!, gli ho voluto bene gli ho voluto!, parla bene parla!, ve l’avevo detto ve l’avevo!, non è vero niente non è vero! me lo ricordo bene me lo ricordo!.
La ripresa-eco può riguardare vari elementi: il soggetto (Laura lavora, Laura!), un avverbio (Ieri Maria ha lavorato, ieri), un complemento indiretto (in Italia si mangiano spaghetti, in Italia!), e naturalmente il verbo che deve essere però seguito da un altro complemento (lui scrive bene, scrive!) o almeno essere coniugato in un tempo composto (ha capito, ha!).
Consideriamo qui esclusivamente i casi in cui l’effetto eco è rappresentato dall’elemento verbale: nelle altre tipologie infatti il costrutto può facilmente scivolare in pura ripetizione rafforzativa, spesso con valore contrastivo, del tipo Laura lavora, Laura (proprio Laura, non tu!). Quando invece la ripresa eco è rappresentata dall’elemento verbale, e talora solo da parte dell’elemento verbale, la funzione dell’eco ha un valore più particolare e dal nostro punto di vista più interessante.
Analizziamo in primo luogo, sommariamente, la meccanica del costrutto.
• Il caso di base è quello costituito da frase con verbo non composto + altro elemento (complemento diretto o indiretto, avverbio o predicativo del soggetto):
(1) Lui studia latino, studia
(2) Lui va a Milano, va
(3) Lui studia sempre, studia
(4) Sei bravo, sei
• Quando il verbo è in forma composta (ausiliare e participio passato, stare+gerundio, stare a+infinito, andare+participio passato, modale+infinito, fare+infinito ecc.) la ripresa eco può riguardare l’intera forma verbale o anche solo il verbo ausiliare; con predicato nominale si ripete l’intera forma verbo essere
(5) Lui ha studiato latino, ha studiato
(5a) Lui ha studiato latino, ha
(6) Lui è andato a Milano, è andato
(6a) Lui è andato a Milano, è
(7) Lui ha studiato sempre, ha studiato
(7a) Lui ha studiato sempre, ha
(8) Lui è stato bravo, è stato
• Nel caso di frase con verbo composto (ovvero come sopra) per realizzare un effetto eco non è necessario che dopo il verbo ci siano complementi o avverbi: l’effetto può infatti coinvolgere solo il primo elemento del costrutto verbale:
(9) Lui ha capito, ha
(10) Lui è scappato, è
(11) Lui sta a guardare, sta
(12) Lui va capito, va
(13) Lui è stato punito è stato
• Nel costrutto eco il verbo ripetuto è inscindibilmente connesso con eventuali pronomi clitici e con la negazione non. Possono essere coinvolti nella ripresa anche altri elementi in caso di locuzioni verbali o avverbi “zeppe verbali” (come “già” o “mai”):
(14) Lo vedo bene, lo vedo
(15) Gli ho telefonato ieri, gli ho telefonato (gli ho)
(16) Non si pente mai di niente, non si pente
(17) I soldi ve li presto io, ve li presto
(18) Ce lo stanno dicendo, ce lo stanno
(19) Ce l’ho in mente da qualche giorno, ce l’ho in mente
(20) L’ha già detto a tutti, l’ha già detto
Vediamo ora la funzione principale del costrutto.
Come si è visto un’espressione con effetto eco è strutturata in tre segmenti, A+B+C, dove i segmenti A+B costituiscono una frase grammaticalmente standard (A: Lui ha studiato + B: latino) e i segmenti B+C costituiscono una frase marcata con oggetto anticipato sul verbo (B: latino + C: ha studiato). L’immissione dell’effetto eco con ripetizione del verbo in C (ha studiato) permette una differente focalizzazione dell’elemento B (latino) che viene marcato da una intonazione ascendente.
Collocando quindi il costrutto eco nel gruppo delle costruzioni marcate delle frasi italiane alternative al costrutto standard soggetto+verbo+oggetto potremmo sintetizzare:
1) (Lui) ha studiato il latino (costruzione standard)
2) (Lui) Il latino l’ha studiato: se ha studiato altro non lo so, ma il latino sì. (Frase affermativa con dislocazione a sinistra)
3) L’ha studiato il latino (?): (dislocazione a sinistra frequente in frasi interrogative)
4) È il latino che ha studiato: poveretto, è ovvio che di matematica non ne sappia molto! (Frase scissa)
5) Il latino ha studiato!!! Incredibile! (Frase esclamativa con anticipazione dell’oggetto)
6) Ha studiato il latino ha studiato, altroché! (Costrutto eco)
In sostanza sembra che il costrutto eco da un lato condivida con l’anacoluto o con le frasi a tema sospeso la facoltà di autorizzare il parlante a modificare in corso la sintassi del costrutto, non tanto per un cambiamento di volontà comunicativa quanto per una rimodulazione del focus: si comincia con la formulazione standard (1) e si devia verso la frase esclamativa (5). Dall’altro l’eco potrebbe anche dipendere dalla volontà di attenuare la frase esclamativa, tanto più nelle parlate in cui il verbo alla fine è più consueto (Montalbano sono!, ripete il personaggio di Camilleri), normalizzandola con un avvio standard (come dire: sono Montalbano sono!).
Il ruolo dell’intonazione (Lepschy 1978, 275-292; Voghera, 1992) importante in tutte le costruzioni marcate, assume un peso particolare nei costrutti eco, laddove la ripetizione verbale ha un valore assolutamente di grado zero dal punto di vista semantico. Tant’è vero che, come osserva Beccaria (2006, 354), in romanesco e in napoletano la ripetizione può riguardare anche solo una parte del verbo stesso o esclusivamente i pronomi clitici combinati (mi ci costringi mici, dice Totò) così da ottenere oltre al solito risultato di mettere il focus sull’elemento che precede l’eco anche un innegabile effetto comico. Chi scrive, da romano, può testimoniare di aver del resto sentito perfino hai capito haica, ha bevuto habbe, se ne frega sene e espressioni simili, quasi sempre con una certa preferenza per la ripresa eco di un elemento bisillabico, accentato sulla prima sillaba, sia esso pronome combinato sia una neo-formazione pronome clitico + prima sillaba del verbo. Del resto, seppure rarissime nello scritto, riprese eco simili possono apparire per esempio in vignette umoristiche come questa di Makkox (2019) dove oltre a un effetto eco senza verbo (scusa un cazzo, scusa) caratteristico anche di espressioni come beato te beato!, compare la frase romanesca io te le tajo ste mano tele! (io te le taglio queste mani tele):
L’intento ironico del costrutto-eco è d’altra parte frequente anche nelle sue forme meno bizzarre e più diffuse. Sempre nel giusto contesto e con la giusta intonazione, a chi è saccente possiamo dire è arrivato il genio è arrivato!, di chi mangia molto possiamo dire mangia come un passerotto mangia!, a chi ha commesso un’ingenuità possiamo dire sei furbo sei!: in ciascuna di queste espressioni l’effetto eco esalta l’efficacia dell’antifrasi, la figura retorica per cui si dice una cosa intendendo, ironicamente, il suo contrario.
Infine un accenno alla distribuzione geografica del fenomeno.
Il costrutto eco mostra tutta la sua vitalità nel centro-sud. Gran parte degli esempi riportati da Dovicchi (2010) sono raccolti da uno specifico informatore meridionale. A questi si aggiunge una serie corposa di occorrenze di costrutti eco tratti dalle Baruffe Chiozzotte di Goldoni che garantirebbero diffusione del fenomeno anche in area veneta. Oltre alla nota frequenza del fenomeno a Roma, abbiamo constatato con qualche sondaggio occasionale la presenza del costrutto anche in area brianzola e in Trentino. Il prof. Toso dell’Università di Sassari ha poi sopportato pazientemente le nostre bizzarre domande per confermarci che il costrutto eco è presente in Liguria (segnalandoci espressioni dialettali del tipo Te l'aiva dito, te l'aiva; ghe l'ò scrito, ghe l'ò! e perfino un ”Provateci un po’ voi, provateci un po’, a tradurre… “ scritto da persona definita “ferocemente lericina, anzi di San Terenzo”). Naturalmente, ferma restando la necessità di un’indagine più articolata sulla diffusione regionale dei costrutti eco, si può tuttavia accennare a una questione più generale: è stato osservato infatti che negli ultimi anni “le nuove generazioni in particolare presentino un italiano spesso difficile da caratterizzare nei termini di una singola, specifica varietà regionale, un italiano che tende a costituirsi di tratti provenienti da varietà regionali diverse”. Questa commistione di elementi fonetici e fonologici, morfologici e lessicali, porta a pensare a un italiano composito in cui “tratti tipicamente ascritti a varietà regionali specifiche abbiano in realtà estensione interregionale e possibilmente epicentri diversi, a causa di tendenze strutturali comuni, talvolta indipendenti dall’interferenza del dialetto, tratti, oltretutto, che sono oggi in via di standardizzazione ma che erano generalmente presenti già nel fondo toscano dell’italiano” (Cerruti, 2013, 3-5).
Per questo ci è parso di ritenere che il costrutto eco, al di là della sua concreta diffusione geografica, possa comunque annoverarsi fra quegli elementi fortemente caratterizzanti l’italiano parlato e che, forse anche per via della diffusione sovraregionale del romanesco, sia almeno dal punto di vista della competenza passiva ben percepibile nel suo significato da gran parte dei madrelingua. Che poi invece sia una delle strutture profonde dell’italiano, magari molto frequente nel parlato in passato e poi ridimensionato progressivamente con l’alfabetizzazione dei parlanti e con una sorta di autocensura connessa al diffondersi dell’italiano scritto è cosa pure possibile.
CONCLUSIONE
Nel parlato la costruzione soggetto+verbo+oggetto, viene spesso sostituita da costruzioni marcate che focalizzano all’inizio di frase un elemento diverso dal soggetto. L’italiano, con il suo sistema verbale che segnala morfologicamente la persona attraverso la coniugazione e con la sua ricchezza di clitici che permettono la ripresa, è particolarmente ricco di queste formule espressive (dislocazioni e frasi scisse in particolare) che peraltro non mancano certo neanche nelle lingue straniere.
Non ci siamo preoccupati in questa breve ricognizione di classificare gli elementi linguistici analizzati all’interno delle definizioni di italiano standard, italiano substandard, italiano neostandard o italiano popolare né di soffermarci su quel che va considerato variante diastratica, diafasica, diatopica o diamesica: l’obiettivo era solo quello di segnalare elementi morfosintattici e lessicali perlopiù sovraregionali, ad alta frequenza d’uso nel parlato colloquiale e che, poco illustrati o totalmente assenti nei manuali d’italiano per stranieri, meritano a nostro avviso un maggior rilievo nella didattica della lingua. Troppo spesso capita infatti di sentire studenti stranieri che, al di là di maggiore o minore accuratezza morfologico-grammaticale, si esprimono “come un libro stampato” utilizzando nel parlato stilemi che un madrelingua userebbe con cautela (o magari con vanità) anche in uno scritto formale; dal punto di vista lessicale invece non è nemmeno infrequente che per via di una imprecisa acquisizione di termini colloquiali, lo studente straniero inserisca parole improprie in uno scritto o in un discorso che vorrebbe essere invece formale: insomma si può dire “In città è tutto un casino!”, ma non si può scrivere “Firenze, ai tempi di Dante Alighieri era una città piena di casini politici”.
L’attenzione al parlato infine esalta il ruolo semantico dell’intonazione, dalla quale dipende a volte il fatto che alcune cose che ci sembrano normali quando sono dette ci appaiano come stramberie quando sono scritte. Se è vero come è vero che un testo autentico è quello prodotto da nativi per nativi è perciò anche vero che nessun testo sarà mai autentico una volta portato tout court nella “realtà-classe” in cui l’autenticità del detto o del letto è garantita solo dall’autenticità scenica (e prosodica!) dell’insegnante che almeno per questo dovrà prima o poi riappropriarsi della sua “centralità” (, dovrà).
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