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L'anima, il volto... e non solo

Il ritratto, l'inconscio e la politica

3 ottobre 2004

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Giulia Grassi

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Nel suo Trattato di pittura Leonardo (1452-1519) scrive:

Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell'animo: altrimenti la tua arte non sarà laudabile"; e, ancora, "Lo bono pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l'homo e il concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile perché s'ha a figurare con gesti e movimenti delle membra.

Leonardo è considerato il fondatore della fisiognomica moderna: nelle sue opere l'espressione dei volti, i gesti e le posizioni del corpo sono la conseguenza visibile dei moti dell'animo. Nei suoi scritti afferma anche che questi moti dell'animo non hanno relazione con la razionalità, con il pensiero, ed intuisce quindi che le azioni umane sono legate non solo alla ragione, ma anche - e soprattutto - a una dimensione interiore (possiamo tradurre l'espressione "moti dell'animo" con "pulsioni psichiche"). Molti secoli dopo questo mondo interiore verrà chiamato inconscio.

Tutta la sua pittura è legata a questa visione: così è nei ritratti (Dama con l'ermellino) e nell'Ultima Cena dipinta a Milano, che è considerata un "catalogo" di emozioni rese attraverso i gesti e le espressioni.


 

Altri pittori hanno saputo non solo leggere nell'anima delle persone - riproducendone le caratteristiche psicologiche, la personalità - ma anche farci capire lo spirito di un periodo storico.

Ad esempio il veneto Tiziano (1485/90-1576), artista geniale e uno dei più grandi ritrattisti di tutti i tempi. Nel Ritratto del papa Paolo III Farnese con i nipoti Alessandro e Ottavio indaga con spietatezza l’animo dei tre protagonisti, mettendo in evidenza il complesso rapporto che li lega.


TIZIANO, Ritratto di Paolo III Farnese con i nipoti Ottavio e Alessandro, olio su tela, 1546 (Napoli, Museo di Capodimonte). Wikipedia, pubblico dominio

Al centro c'è il vecchio pontefice: appare magro sotto gli abiti sontuosi e con le spalle curve, ma il volto concentrato, gli occhi piccoli e penetranti, la mano sottile che stringe con energia il bracciolo della poltrona ci fanno capire la sua personalità energica e il suo disincanto politico. Il suo sguardo diffidente si posa sul nipote Ottavio, nominato governatore di Nepi (vicino Roma) quando era ancora un ragazzino e poi Prefetto di Roma. Ottavio si inchina in segno di rispetto, ma il suo gesto appare formale, e l'espressione del suo viso è ambigua: capiamo che non è l'affetto a legarlo al papa, ma l'interesse, e abbiamo l'impressione di. una personalità ambigua, un po' untuosa e ipocrita. L'altro nipote, Alessandro, è in piedi dietro ai due e guarda verso lo spettatore, apparentemente estraneo. Sappiamo che era molto intelligente e che venne fatto cardinale all’età di quattordici anni, ricoprendo nel tempo importanti incarichi di carattere politico: era soprannominato il “Gran Cardinale”.

I colori, stesi con pennellate rapide e con il predominio dei rossi, evidenziano la complessa psicologia dei personaggi, e accentuano l’atmosfera di intrigo della scena. Infatti con Paolo III il nepotismo - l'abitudine dei papi di affidare poteri politici e militari ai propri famigliari - raggiunge livelli molto alti.

Questo non è solo un ritratto, è anche un documento storico perché ci fa capire la politica della Santa Sede meglio dei documenti scritti.

Un altro pittore che attraverso i ritratti mette in evidenza le caratteristiche di un periodo storico è Vittore Ghislandi, detto Fra Galgario (1655-1745). Il suo Ritratto di Cavaliere dell'Ordine Costantiniano (Gentiluomo con tricorno) è un fotografia spietata della superficialità e apatia dell'aristocrazia del XVIII secolo.


FRA' GALGARIO, Gentiluomo con tricorno, olio su tela, 1745 circa (Milano, Museo Poldi Pezzoli). Wikipedia pubblico dominio

L'anonimo gentiluomo vuole che dal ritratto emerga la ricchezza e la nobiltà della sua famiglia. Si fa rappresentare di tre quarti, con indosso abiti di seta ricamati in argento e un tricorno sulla testa. Il braccio destro è piegato sul fianco, la mano sinistra poggia sul petto e con il pollice tocca una croce, simbolo dell'antico "Sacro Angelico Ordine Costantiniano di San Giorgio". Vuole apparire pieno di dignità e nobiltà, ma il pittore riesce a mettere a nudo la vera personalità del giovane.

Gli abiti sono sì belli, ma troppo carichi di ricami d'argento. La posa non trasmette autorevolezza, ma arroganza. E il viso toglie ogni dubbio! La bocca ha una piega sprezzante e, così rossa e carnosa, lascia intuire un carattere vizioso; gli occhi azzurri sono spenti, rimpiccioliti da palpebre pesanti e arrossate; il viso allungato è pallido, inespressivo. I colori sono usati con molta sapienza, in modo da mettere in evidenza l'eccessiva decorazione degli abiti e la pelle del volto e della mano, così chiari da far sembrare il giovane esangue.

È, in poche parole, la perfetta rappresentazione dell'arroganza e della vacuità di una classe sociale, di quell'aristocrazia che proprio alla fine del XVIII secolo sarà travolta dalla Rivoluzione Francese.


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