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Sapore autentico

Allegre riflessioni sulla religione dell'autentico

18 gennaio 2014

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Roberto Tartaglione

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I materiali di Matdid sono scaricabili liberamente come supporto per lezioni di italiano. Ne è vietata la pubblicazione su carta o in formato digitale salvo autorizzazione.

Che sia opportuno utilizzare materiale "autentico" nelle lezioni di lingua straniera è cosa fuori di dubbio. Tuttavia il concetto di "autenticità", rispolverato anche come reazione a una certa didattica del passato un po' troppo ancorata alla "traduzione" di frasi improbabili, non è così semplice da definire, mentre invece la religione dell'autenticità qualche volta indispone.


 

Per materiale autentico si intende un enunciato linguistico prodotto da nativi per nativi: autentico è un testo di Domenico Modugno o dei Måneskin per Sanremo, autentiche sono le istruzioni per il montaggio delle catene da neve o le scritte di un cartello stradale per automobilisti, autentico il gorgoglìo di un politico che erutta sgrammaticati luoghi comuni per i suoi elettori. Inautentico è il mio racconto del primo amore e non autentica è qualunque frase proposta a stranieri calcolando che il destinatario del messaggio è straniero oppure, horribile dictu, calcolando che all’interno della frase stessa sia posto artificiosamente un elemento linguistico che io reputo opportuno illustrare.

In sostanza se per mostrare l’articolo “lo” in preposizione articolata propongo un improbabile “il gatto dello psicanalista dorme sullo xilofono” la frase non è autentica e quindi didatticamente da deplorare. Se invece propongo “Odissea nello spazio” è materiale autentico quindi approvabile.

Niente da ridire sul principio: anch’io sono cresciuto in scuole dove per imparare latino e greco linguemorte e tedesco o inglese linguevive traducevo strane frasi che mai mi sarebbero servite nella vita. Tuttavia la religione del linguaggio autentico mi ha sempre sollecitato alla miscredenza.


Autentico ha in sé la radice autòs, lui stesso: è autentico chi si mostra così com’è, autentico è il dipinto dell’autore (autòs!) che lo ha firmato e perfino un prodotto gastronomico che mantiene le sue caratteristiche originali. L’autorità (autòs!) di un prodotto originale è riconosciuta a un artista o a una mozzarella, ma non a me che devo sì usare una lingua autentica, ma non la “mia”, unico caso in cui autòs significa “di altri”.

Per questo venivo dal vento rapito è autentico anche se quel “rapito” alla fine della frase ricalca stilemi letterari e melodrammatici superati già nel 1958 quando “Volare” viene lanciata; e autentico è se trovi il senso del tempo risalirai dal tuo oblio perché il testo di “Zitti e buoni” lo scrivono i giovani nel 2021; autentico è le catene da neve saranno caratterizzate da una bassa temperatura anche se sappiamo le catene di solito sono soltanto fredde; autentico è un parcheggio riservato a veicoli a trazione ippica; autentico è perfino lo stesso Bossi che ha definito razza meridionale, e sia chiaro che non sto cercando di fare del razzismo perché parlo nell’interesse di un’Italia unita il Mezzogiorno! (N. Rangeri, Cito-horror a Tribuna Politica, in Il Manifesto, 25 maggio 1994, pag. 24 )

Ma il gatto dello psicanalista sullo xilofono è inautentico e perciò inadeguato all’insegnamento linguistico.

Frustrante per un insegnante lavorare sulla lingua e vedersi disconoscere qualunque forma di “autòs”: autorialità, autorità, autorevolezza. Un certo calvinismo didattico ritiene “sacre” le frasi autentiche solo perché sussistono. Il mio laico cattolicesimo didattico, o anarchismo, ammette invece che le frasi possano venir consacrate, ma non le riconosce sacre per diritto di nascita.

In ogni caso lo psicanalista dove bruciavo novanta Euro a seduta per smettere di fumare, e che peraltro era un ottimo tastierista, aveva davvero un gatto che dormiva beato sullo xilofono quando io gli occupavo il divano.



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