Quando Heinz diventa Enzo
Il leggendario figlio di Federico II
7 dicembre 2008
da c1 a c2
Roberto Tartaglione
No
L'argomento "Federico II" ci piace molto: per le caratteristiche del personaggio, certamente, ma anche perché Federico II è alla base della nascita della lingua italiana. La poesia nella Toscana del Duecento e del Trecento e lo stesso Dante, hanno infatti alle spalle la tradizione della Scuola Poetica Siciliana e perciò un grosso debito verso l'iniziativa poetica e linguistica dell'imperatore svevo. Abbiamo pubblicato allora su Matdid parecchi materiali in proposito: storici, artistici e linguistici. Qui sotto i link per quelli che vi sembreranno più interessanti.
I tedeschi in Sicilia (XII secolo)
Traducendo s'impara (la "prima" poesia di Jacopo da Lentini)
Pir meu cori alligrari (poesia in versione siciliana di Stefano Protonotaro)
Le donne di Federico II (l'Imperatore sciupafemmine)
De arte venandi cum avibus (il trattato di falconeria di Federico II)
Un castello tira l'altro (architettura e arti figurative federiciane)
Un'intervista impossibile (Camilleri intervista Federico II)
Parecchi sono stati i personaggi leggendari nella famiglia di Federico II. L'imperatore, prima di tutto (così come prima lo era stato suo nonno Federico Barbarossa). Ma poi anche Manfredi, il figlio di Federico che dopo la sua morte tenta di salvare il Regno di Sicilia. E il nipote Corradino che inutilmente tenta di restaurare l'autorità sveva dopo la morte di Manfredi e viene decapitato, appena quindicenne, in quella che oggi si chiama Piazza del Mercato, a Napoli.
Ma quello che ha sempre ispirato il massimo interesse e la creazione di miti e racconti è certamente il figlio illegittimo che l'imperatore ha avuto da una nobildonna tedesca, Alayta o Adelaide, Re Enzo (1220/1224-1272), nome che viene da un'alterazione di Heinz (< Heinrich).
Nell'Ottocento perfino Richard Wagner gli dedica un'opera, König Enzio. E poi si occupano di lui pittori e artisti di ogni genere, e ancora un compositore, stavolta italiano, gli dedica un'altra opera, il Re Enzo di Ottorino Respighi. E ancora gli dedicano versi Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli e oggi Re Enzo è oggetto di celebrazioni e commemorazioni specialmente nella città di Bologna (lo spettacolo Re Enzo, con testi del poeta e scrittore Roberto Roversi e musiche di Lucio Dalla, è stato presentato nelle manifestazioni di Bologna 2000 Città Europea della Cultura, nel giugno del 2000 a Piazza S. Stefano).
Insomma, che ha fatto di tanto speciale questo Heinz?
Enzo era sicuramente bello, giovane, alto, biondo e con gli occhi azzurri. E questo già aiuta un po' a diventare un personaggio leggendario.
Ma per Federico II questo figlio, anche se illegittimo, era stato davvero prezioso: mentre il primogenito, Enrico VII, lo aveva tradito e per questo era finito rinchiuso in prigione dove poi era morto suicida; mentre il secondogenito (legittimo) Corrado IV era ancora piccolo e comunque destinato a occuparsi della Germania, Enzo era diventato davvero l'alter ego di suo padre, e aveva dovuto affrontare la difficilissima questione dei Comuni del nord Italia, che non facevano altro che creare guai all'imperatore.
Per una decina d'anni, fino al 1249, Enzo non fa altro che combattere in nome di suo padre, distinguendosi per valore e per coraggio.
Obbedientissimo all'imperatore, nel 1238 accetta di sposare Adelasia, vedova del giudice di Torres e di Gallura, cosicché diventa Re di Sardegna. E ancora una volta provoca un travaso di bile al Papa che sulla Sardegna vantava dei diritti.
La sua vita coniugale però dura un attimo. Dopo il matrimonio, appena messa sulla testa la corona di Re di Sardegna, deve tornare in nord Italia a guerreggiare con i comuni ribelli.
Nel 1241 partecipa anche all'attacco quasi piratesco contro le navi che portano a Roma vescovi e ecclesiastici da mezza Europa: avrebbero dovuto partecipare a un Concilio indetto da papa Gregorio IX per scomunicare per l'ennesima volta Federico II. Enzo li attacca, ne ammazza un bel po' e imprigiona gli altri. Che colpo!
Enzo guida la flotta imperiale nella battaglia del Giglio. Wikipedia pubblico dominio
Insomma è instancabile e fedele.
Ma nel 1249, combattendo contro i bolognesi, si attarda con la retroguardia del suo esercito durante una ritirata. Cade da cavallo e viene preso prigioniero.
Enzo preso prigioniero a Bologna. Wikipedia, pubblico dominio
A nulla servono i tentativi di Federico II di riavere suo figlio. Fra l'altro dopo un anno l'imperatore muore e il regno svevo, progressivamente, si disintegra. Re Enzo passerà il resto della sua vita, cioè ancora 23 anni, prigioniero a Bologna. E in questi 23 anni nasce la sua leggenda.
Proprio per i miti nati attorno alla sua figura durante la prigionia è difficile sapere realmente come abbia passato quegli anni. Probabilmente, dopo un primo periodo di carcere più duro la sua detenzione in seguito era divenuta assai più accettabile: sappiamo che ha avuto dei figli e anche che partecipava della vita intellettuale della città di Bologna, all'avanguardia nella cultura europea per la sua celebre università.
A lui si deve almeno una copia dell'arte venandi cum avibus (e che come il padre fosse appassionato di falconeria lo si può intuire dal suo soprannome, che era "Falconello").
E a lui forse si deve anche la diffusione delle poesie siciliane a Bologna e quindi in Toscana.
Poeta lui stesso, di Enzo ci rimangono parecchi versi.
In particolare della canzone S'eo trovasse pietanza ci resta una versione ormai toscaneggiata. Ma di questa canzone, a differenza di quanto succede per quasi tutte le liriche siciliane che ci sono giunte in traduzione toscana, abbiamo anche le ultime due strofe in siciliano originale (sempre attraverso le carte del filologo del Cinquecento Giovanni Maria Barbieri, al quale dobbiamo quel poco che ci resta della poesia siciliana in lingua non toscana). Ne trascriviamo qui sotto alcuni versi nelle due versioni, per dar modo di osservare più da vicino le differenze fra le due lingue.
VERSIONE IN TOSCANO
Tutti quei pensamenti che 'l spirto meo divisa, sono pene e dolore senz'allegrar che non li s'accompagna; e di tanti tormenti abbondo in mala guisa, che ’l natural colore tutto perdo, tanto ’l cor batte e lagna. Or si po’ dir da manti: che è ciò, che non more, poi ch’à sagnato ’l core?
VERSIONE ORIGINALE IN SICILIANO
Tutti li pinsamenti
chi ’l spirtu meu divisa
sunu pen’e duluri
sinz’alligrar, chi nu lli s’accompagna
e di manti turmenti
abundu in mala guisa,
chi ’l natural caluri
ò pirdutu, tantu ’l cor batti e lagna.
Or si po’ dir da manti:
chi è zò, chi nu mori,
poi ch’ai sagnatu ’l cori?
Ecco: se la storia fosse andata diversamente, se il regno di Federico II non fosse crollato, se la Toscana non avesse assunto il ruolo che ha assunto dopo il 1250, l'italiano sarebbe stato probabilmente un po' diverso. Ma certo, la storia non si fa con i "se".