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Giorgio Gaber il Signor G

Il teatro-canzone

1 febbraio 2003

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Roberto Tartaglione

No

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(aggiornato luglio 2024)


Il primo gennaio 2003 è morto un artista italiano di grande talento, Giorgio Gaber.

Al suo funerale hanno partecipato, oltre che numerosissime persone comuni, anche politici di destra e di sinistra (da Silvio Berlusconi, capo di un governo di destra, a Mario Capanna, ex leader del movimento studentesco, di estrema sinistra, del 1968).

Tutti hanno celebrato il Gaber anticonformista e anarchico: la televisione ha trasmesso le sue canzoni (ma, attenzione, solo quelle più più divertenti o quelle impegnate dove critica proprio la "sua" generazione di sinistra).

Insomma: è già successo per Pasolini e ora è successo di nuovo. Quando muore un grande artista che ha espresso idee che escono dall'ortodossia del pensiero dominante sono subito tutti pronti, come sciacalli, a tirarlo dalla propria parte (perfino gli ex-democristiani hanno elogiato Gaber, dimenticando forse quello che lui aveva scritto e cantato proprio sul loro partito politico nella censuratissima Io se fossi dio).


Gaber ha inventato il "teatro-canzone", una serie di spettacoli di canzoni e monologhi proposti dal 1970 per circa un ventennio.

Il pezzo che dà l'avvio al suo teatro-canzone è il monologo "Il Signor G".





- Io mi chiamo G.

- Io mi chiamo G.

- No, non hai capito, sono io che mi chiamo G.

- No, sei tu che non hai capito, mi chiamo G anch’io.

- Ah. Il mio papà è molto importante.

- Il mio papà... no.

- Il mio papà è forte, sano e intelligente.

- Il mio papà è debole, malaticcio... e un po’ scemo.

- Il mio papà ha tre lauree e parla perfettamente cinque lingue.

- Il mio papà ha fatto la terza elementare e parla in dialetto. Ma poco, perché tartaglia.

- Io sono figlio unico e vivo in una grande casa con diciotto locali spaziosi.

- Io vivo in una casa piccola. Però c’ho diciotto fratelli!

- Il mio papà è molto ricco guadagna 31 miliardi al mese che diviso 31 che sono i giorni che ci sono in un mese, fa un miliardo al giorno.

- Il mio papà è povero: guadagna 10.000 al mese che diviso 31 che sono i giorni che ci sono in un mese fa... circa... 10.000 al giorno!!! …al primo giorno. Poi dopo basta.


- Noi siamo ricchi ma democratici. Quando giochiamo a tombola segniamo i numeri con i fagioli.

- Noi, invece, segniamo i fagioli con i numeri. Per non perderli.

- Il mio papà ogni anno cambia la macchina, la villa e il motoscafo.

- Il mio papà non cambia nemmeno idea.

- Il mio papà un giorno mi ha portato sulla collina e mi ha detto: Guarda! Tutto quello che vedi un giorno sarà tuo.

- Anche il mio papà un giorno mi ha portato sulla collina e mi ha detto: guarda!

Basta.



Nota generale


Con questo monologo del 1970 comincia l'avventura del "Teatro Canzone" di Giorgio Gaber, una serie di spettacoli fatti da canzoni e monologhi spesso satirici e divertenti, ma sempre pieni di contenuti sociali e politici.

Le canzoni possono riportarsi tutte a una serie di filoni principali: alcune sono legate a un dettaglio, a un gesto del proprio corpo, a una situazione piccolissima (per esempio la divertente LE MANI).

Altre si occupano "pirandellianamente" del nostro modo di essere e del nostro modo di apparire (per esempio IL COMPORTAMENTO o FAR FINTA DI ESSERE SANI).

Ma Gaber diventa più graffiante quando tocca questioni sociali come la famiglia e il rapporto di coppia (come succede in C'È SOLO LA STRADA o ne IL DILEMMA) e ancora di più quando critica i giovani della sinistra troppo omologati nei gusti e nel pensiero (durissima la canzone QUANDO È MODA È MODA). Naturalmente tutto questo senza alcuna simpatia per la destra che viene fotografata nel suo insieme in canzoni come I BORGHESI o L'ODORE.

Certamente però il massimo della sua carica di rabbia e di delusione per la politica si trova nella canzone IO SE FOSSI DIO, censurata da radio e televisione, così provocatoria che nessuna casa discografica aveva accettato di pubblicarla (e infatti il disco è stato prodotto in privato da Gaber stesso e poi venduto quasi clandestinamente nelle università e sulle bancarelle per strada).



I suoi album (secondo noi!) più più belli, sempre scritti con Luporini, sono:


  • Il Signor G - 1970

  • Dialogo tra un impegnato e un non so - 1972

  • Far finta di essere sani - 1973

  • Anche per oggi non si vola - 1974

  • Libertà obbligatoria - 1976

  • Polli di allevamento - 1978

  • Anni affollati - 1981


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